Il tema della decadenza del marchio per non uso

di: Avv. Annaluce Licheri

Accade spesso che piccole e medie imprese mi pongano quesiti su un tema piuttosto delicato per le aziende: è possibile evitare che un privato, imprenditore individuale o azienda che sia, si appropri, mediante la registrazione, di segni distintivi, sottraendoli alla alla collettività imprenditoriale, ma senza utilizzarli realmente? L’arma di difesa è prevista dall’articolo 24 del Codice di Proprietà Industriale, che vuole evitare che marchi “vivi” dal punto di vista giuridico, ma “morti” nel relativo mercato di beni o servizi, possano impedire l’accesso a nuovi competitori in virtù di un titolo giuridico che – sia pur formalmente valido – non ha (più) un effettivo riscontro presso i consumatori Senza entrare in dettagli tecnici o distinguo che annoierebbero, mi limito a dire in generale che, quando il titolare di un marchio registrato da almeno cinque anni voglia opporsi alla registrazione di altro marchio (che ritiene) confondibile con il proprio, potrà essergli richiesto di fornire prove dell’uso del suo segno, implicando la mancanza di tali prove la citata decadenza. In soldoni: in un caso di contenzioso se un’azienda usa il suo marchio può “uccidere”, come usa nel gergo del mestiere, un marchio altrui la cui futura registrazione sia conflittuale con il suo diritto di privativa; se non usa il suo marchio, sarà questo ad essere “ucciso” ex officio e quello a cui l’azienda voleva opporsi si posizionerà nel mercato al suo posto. Accade così abbastanza spesso che, al momento di effettuare controversie in Italia o all’estero, l’agente o l’avvocato di turno richieda all’impresa titolare del marchio “le prove d’uso” da depositare in tribunale, o presso gli uffici internazionali preposti per contrastare una domanda di terzi volta a registrare un nuovo marchio di terzi. In un buon numero di questi casi, stante la impossibilità, o la difficoltà di fornire tali prove nelle sedi competenti, la fase contenziosa viene transatta (concedendo quindi l’accesso al mercato del nuovo marchio, ma disinnescando la decadenza) e l’agente consiglia comunque di depositare un nuovo marchio, identico al primo. E la cosa, purtroppo spesso, si può ripresentare dopo cinque anni dalla registrazione del secondo marchio identico, e così via… In questi casi il deposito di un marchio identico al precedente non sana nulla, serve solo a posporre il tema dell’uso di un altro lustro. La decadenza può essere sanata? I suoi effetti concreti si producono solo a seguito di una pronuncia giudiziale, quindi, in assenza di un contenzioso civile o amministrativo, il marchio (teoricamente) decaduto, può essere portato a nuova vita, o meglio, riportato in vita. E, in tema di marchi riportati a nuova vita, una veloce analisi di quello che la giurisprudenza più recente ha deciso in termini di “riattivazione” e “uso commerciale”, ci fa dire che non è sufficiente un uso sporadico o meramente simbolico di un marchio. Per uso effettivo del marchio si intendono non solo, come è ovvio, l’offerta di servizi o prodotti recanti il marchio e l’importazione o esportazione di questi ultimi, ma anche lo svolgimento di una campagna promozionale avente ad oggetto il segno. La decadenza per non uso non si verifica, invece, quando vi sia un motivo legittimo di non uso. Si considerano tutte quelle circostanze che prescindano dalla volontà del titolare del marchio e che gli impediscano di usarlo, come ad esempio l’esistenza di un divieto – o l’assenza di un’autorizzazione – alla produzione o alla commercializzazione del bene (fattore che incide ad esempio nei mercati ad alta tecnologia, come nel caso delle aziende. Il problema in esame è soprattutto commerciale. Sarà davvero utile reiterare il monopolio offerto da un segno distintivo, se poi il marchio non viene utilizzato con una sufficiente costanza? Spostare l’onere di difendere i propri prodotti/servizi da un marchio in procinto di decadere a uno appena depositato può garantire altri 6, 7 anni di sicurezza (un paio, al massimo, per la registrazione e, appunto, i cinque che decorrono da quest’ultima). Ma è realmente utile proteggere da una potenziale concorrenza merci o servizi che di fatto non l’azienda non commercia o fornisce con cadenza regolare?Quello che le aziende dovrebbero cercare di stimolare è un servizio che sappia individuare un ventaglio di proposte pratiche da utilizzare volta per volta in merito ad una saggia gestione alternativa dei marchi d’impresa che possono presentare problemi in termini di uso effettivo. Ma finora abbiamo parlato di marchi che le aziende non usano, o usano, per così dire, con il contagocce. In altri casi si arriva al paradosso di aziende che in effetti un utilizzo del marchio lo effettuano anche, ma che al momento di fornire le citate “prove d’uso” hanno delle grandi difficoltà. Un’efficiente consulenza può essere molto valida anche in questi casi, che sono tra l’altro meno complessi. In azienda si dovrebbe sempre saper monitorare e tener conto del volume commerciale, della durata del periodo dell’uso, nonché della frequenza delle attività commerciali e di servizio. Credo proprio, in sostanza, che oltre all’impegno più fantasioso (più divertente, ma più complesso) che serve a studiare alternative per non incorrere nella decadenza di marchi poco usati, è necessario un lavorio più noioso, pignolo, sistematico capace di far ricostruire l’uso nel tempo e di far memorizzare le prove negli anni. Le ultime decisioni giurisprudenziali non aiutano, avendo punito alcuni – comprensibili – escamotage: ad esempio in diversi casi lo smercio di articoli gratuiti e meramente promozionali non è stato sufficiente a garantire un uso di un marchio, né la presenza di per sé sola del marchio su un sito internet ha costituito uso del marchio, essendo necessario provare anche una certa affluenza di pubblico nel sito e la presenza di ordini di vendite on-line. Ma un servizio “in-house” strutturato e attento può prevenire queste situazioni ed eliminare casi di decadenza che, quando un marchio è usato suonano come una beffa oltre al danno.

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