Convegno “Ti amo…. da morire. Luci ed ombre del femminile”

In occasione dell’inaugurazione del CentroPsicologicoRoma dell’Ass.ne Ancis-Psiche, siamo lieti di presentare il Convegno “Ti amo… da morire. Luci ed ombre del femminile”, che intende mettere al centro il tema della “donna” nelle sue varie declinazioni.

  • Camera dei Deputati, Palazzo Marini – Sala delle Colonne, via Poli 19, Roma
  • 8 maggio 2013
  • ore 16:30

Programma

Il Convegno si struttura in una serie di interventi che toccheranno e descriveranno le varie realtà dell’universo femminile, nei suoi aspetti positivi e negativi, con un taglio dinamico e multimediale.

ore 16:30

introduce e coordina:

Dott.ssa Anna Merolle

Presidente Ass.ne Ancis-Psiche

Responsabile del CentroPsicologicoRoma

ore 16:45

Saluti

Min. Della Salute On. Beatrice Lorenzin

On. Sesa Amici Deputato

Interpretazione di testi musicali della BandaJorona con Bianca Giovannini “laJorona”

Interventi:

ore 17:15

Parte luce

Rosa Di Sergio, de La Casa di Giorgia, Centro di accoglienza per donne rifugiate del Centro Astalli, servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia. “Donne rifugiate: un caso di accoglienza”

Prof. Federica Giardini, docente di Filosofia politica all’Università Roma Tre, presenta i risultati della ricerca del volume “Sensibili guerriere. Sulla forza femminile” ed Iacobelli

Azzurra Tognato Pres. Assoc. A.M.A. Latina e Pres. Lazio Assoc. C.S.IN.Onlus. “Il valore ed il potenziale della solidarietà femminile”

Simona Oberhammer scrittrice e naturopata, ideatrice della via femminile.“Femminile sconosciuto. Un viaggio misterioso lungo la via Femminile”

ore 18:15

Parte ombra

Stefania Catallo, autrice del libro “Sulla pelle delle donne” (Ed. Cento Autori), fondatrice e Pres. del CE.S.P.P. Centro di Supporto Psicologico Popolare. Lettura teatrale di un brano tratto dal volume dell’attrice Rosella Mucci, della compagnia teatrale Delle Cornacchie.

Proiezione del cortometraggio “Al buio – Into the Gloom”, sulla violenza contro le donne ed intervento del regista Giacomo Arrigoni

Intervento di Valentina Gentile sul mondo interiore di una donna violentata. “Il silenzio dell’ignoto”

Avv. Prof. Piero Lorusso, docente esperto in criminologia “Le leggi a tutela delle donne: le carenze e gli scenari futuri necessari per una reale protezione dalle violenze”

Olivier Malcor (Ass.ne Maschile Plurale- Parteciparte) Presentazione dei risultati del lavoro teatrale svolto con i sex- offender a Regina Coeli nel quadro del progetto della Be-Free “Parlare con i lui”.“Trasformare il maschile: le tecniche teatrali per lavorare con uomini maltrattanti”.

Diego Righini Pres. Dell’Ass.ne “L’ Università cerca lavoro”.“Sinergia uomo-donna attraverso il metodo scout”

Dibattito

ore 19:15

Chiusura lavori

 

Rassegna Stampa

 

Abstract

Giacomo Arrigoni – abstract intervento convegno “Ti amo… Da morire.Luci ed ombre del femminile” Il cortometraggio AL BUIO – INTO THE GLOOM è nato tre anni fa dal desiderio regista Giacomo Arrigoni di mettere in luce la realtà di tutte le donne invisibili che vivono prigioniere di una condizione di violenza e dal tentativo di rappresentare il mondo attraverso gli occhi di una persona che soffre.

L’idea era quella di affrontare un tema importante attraverso lo sguardo personale del regista, partendo dalla domanda: come si sopravvive a una realtà di violenza? In un primo tempo si può pensare che una via di fuga possa essere l’immaginazione, la fantasia. Il libro di favole che la protagonista legge è la porta per quel mondo migliore in cui vorremmo vivere. Ma si tratta di una via di fuga momentanea che non è sufficiente per uscire dalla prigione e dall’incubo.Il cortometraggio diventa quindi un modo per sostenere e per esortare tutte le donne che vivono al buio a trovare la forza e il coraggio per liberarsi e riconquistare la loro fiaba, la loro vita, attraverso un’azione concreta, senza aspettare.

Nel suo lavoro sulla messa in scena del racconto cinematografico, Giacomo Arrigoni ha cercato di ancorare la violenza subita da una donna a un’esperienza comune che fosse già parte dell’immaginario collettivo allo scopo di coinvolgere direttamente ogni tipo di spettatore, non soltanto coloro che hanno personalmente subito una violenza. Il regista ha scelto quindi la storia di Cappuccetto Rosso perché si è ormai radicata nel nostro bagaglio di incubi e visioni al punto di essere diventata un archetipo. E la struttura della favola stessa è sembrata la lente perfetta per guardare il mondo da una prospettiva diversa e parlare di problemi reali in maniera forte e originale, non banale.Soprattutto, il regista ha cercato di parlare di violenza senza mostrarla, senza renderla protagonista, ma mantenendola palpabile, pulsante sotto la superficie di un’apparente normalità. Ha voluto espressamente evitare le scene gridate, le botte e il sangue per non cedere alla ricerca di un voyeurismo deleterio e controproducente.

Per questa ragione è stato scelto un uomo assolutamente normale come simbolico lupo cattivo della storia, per far sì che ognuno potesse riconoscersi senza possibilità di prendere le distanze dal classico “uomo violento stereotipato”. Per ribadire che la violenza la maggior parte delle volte è nascosta molto vicino a noi, dove l’apparenza inganna, là dove non ce lo aspetteremmo. Al Buio termina senza il classico lieto fine a cui spesso siamo abituati: il regista non ha voluto dare delle risposte, ma far nascere delle domande. Compito del cinema e dell’arte non è infatti dare delle risposte, bensì mettere in luce la questione, rendere consapevoli le persone di una realtà nascosta ma profondamente diffusa, affinché ognuno si senta stimolato a diffondere la conoscenza del problema e a ricercare soluzioni educative e culturali per cambiare la situazione. E la speranza è che che il corto possa far nascere domande urgenti in tutti gli spettatori ed esortarli a intervenire per aiutare chi soffre a uscire dal buio.

Stefania Catallo, autrice del libro “Sulla pelle delle donne” (Ed. Cento Autori), fondatrice e Pres. del CE.S.P.P. Centro di Supporto Psicologico Popolare.

“Sulla pelle delle donne” è un libro che raccoglie le testimonianze reali e autentiche di donne che hanno voluto raccontare le violenze subite. Le storie accomunano donne di tutte le età ed estrazioni sociali, perché la violenza sulle donne non conosce confini; così nel libro convivono tante figure: la donna della Ciociaria vittima degli stupri di guerra dei “goumiers”, la prostituta albanese mandata sul marciapiede malgrado la gravidanza, la lesbica sudafricana sottoposta allo stupro correttivo, la donna dell’alta borghesia spettatrice incredula di un incesto e l’uomo che, dopo avere agito con violenza sulla sua famiglia, ne capisce l’orrore e se ne allontana.

Ogni storia è stata raccontata in prima persona, come se ognuno dei personaggi stesse parlando direttamente al lettore.

Se solo potessi un giorno raccontare di un qualche momento in cui il cuore si è lacerato dalla felicità potrei voler morire l’attimo dopo. Posso assicurare che le cicatrici del passato non sono nulla in confronto al post mortem come definisco i lunghi strascichi portati da esse. I traumi del vissuto non si cristallizzano nell’attimo della loro consumazione ma negli anni seguenti. Gli anni in cui senti che ostacolo dopo ostacolo ti trapassa un gelido inverno nelle ossa per arrivare dritto al cuore senza sconti. E un giorno per caso mentre guardi la gente intorno a te e l’aria sa di primavera ti senti morir dentro sola in un campo dove la tua voce rimbomba tra i canneti inermi e statuari.

Passo dopo passo nella storia del dolore attraversi montagne di rabbia, ti bagni in profondi laghi di lacrime e cammini nel deserto dell’indifferenza cercando l’oasi più vicina. E quell’oasi che tanto bramavi per un sorso di vita in più la intravedi ottenebrato dal bisogno immenso di concederti un anelito di speranza e dall’esigenza di un cambiamento. Ma nelle carestie la bramosia è estremo opposto alla soddisfazione e alla risoluzione del nostro vero essere.

In quelle oasi da cui abbeveriamo lo spirito iniettiamo in corpo veleno decadente che disseta in quell’istante riportando a galla l’attimo dopo tutto quello che disperatamente cercavamo di lasciare nel passato. E quei canneti come sono belli e bastano a loro stessi nella loro solitaria individualità. E come gli somigliano noi, che avanti e indietro trotterelliamo senza pace a bocche aperte per inspirare un alito di felicità qualunque sia la direzione del vento. Non è il mio o nostro trauma che fa male se lo si metabolizza ma sono le bavelle di seta che arrotoliamo attorno a noi affinchè ci possano chiudere in un bellissimo baco candido tanto quanto fragile. Aspettare e capire il momento adatto per la rinascita a farfalla significa chiudersi in un periodo di lenta autogestione. Saranno tante le volte che quelle farfalle non nasceranno e non avranno accumulato la forza necessaria per distruggere quella casetta di filamenti e rinascere a nuova vita sotto altre spoglie, alle volte infatti quei piccoli bruchi solitari moriranno perché dalle loro case catene si otterrà la splendida seta. Solo esseri profondamente gentili e devoti ascoltatori del silenzio dei loro traumi produrranno la seta. Dalle anime ferite si ergeranno torri di gigli bianchi dalle quali nessuno farà più la guardia ma oltremodo l’accoglienza sarà da padrona.

Non potevo star qui nella mia ignoranza a parlare di un trauma e dei suoi limiti,io vorrei che guardaste negli occhi di chi vi sta di fronte anche in silenzio solo per assaporare le emozioni che stanno vibrando in questi istanti. Ancor di più fatelo con le persone che credete di amare, perché seppur nella loro finita piccolezza umana saranno le sole che vi allontaneranno dalle oasi di veleni nocivi solo per amore, il vero amore, che provano nei vostri confronti.

Ve lo chiedo perchè ho saggiato la reticenza dolorosa nell’affacciarsi al mondo.So cosa vuol dire tenere le distanze fisiche e mentali per paura e timore di un contatto. So quanto provochi dolore rivedere il proprio film proiettato mille e più volte nella medesima sala di un cinema d’essay per il quale siamo noi gli unici ad aver acquistato il biglietto.

E la speranza di vedere abbattere con violenza quel muro di cristallo che ci sta davanti, culla con fare materno le giornate che volano inesorabili. E giuro che basterebbe un dolce e affabile sguardo d’intesa e umili gesti di comprensione per crepare quel cristallo cosi spesso quanto delicato. Avrete regalato preziose soluzioni vitali senza rendervene conto . Rialzarsi è più dura che subire un dolore stesso ma provarci fino a che le forze non vi abbandonino può essere uno sforzo che per qualcuno varrà la pena fare. Non chiedo al mondo di smettere di sbagliare ma pregherò fino all’ultima goccia di sangue affinché qualcuno un giorno guarderà oltre il sé e ascolterà preparando il terreno per scacciare l’oscurità e l’inconsapevolezza.

Le ingiustizie esisteranno sempre così come i maltrattamenti e le lunghe passeggiate nella nebbia notturna non abbandoneranno l’essere umano, ma per coloro che sapranno assaporare famelici ogni attimo della loro vita un giorno mi auguro si apriranno le porte del riconoscimento emozionale. Non più volti sfigurati divenuti automi incatenati in fila per il purgatorio ma universi sconfinati di anime che sapranno dove andare poiché avranno trovato luoghi e persone che alla coltura dell’animo hanno dedicato le loro vite. Si comunica al giorno d’oggi tutto ciò che si sa perché più facile e tangibile…comunichiamo ciò che non è conoscibile e conosciuto per dimostrare che sappiamo ancora essere degni d’esser chiamati umani.

Comunicare e parlare e gridare se il caso senza aver paure di sorta è la prima richiesta di aiuto e di amore per se stessi.

“E se ami te stesso rimarrai sorpreso:gli altri ti ameranno. L’amore dissolve sempre il sé” ( OSHO) .

Ascoltare le voci più lontane e aprire il cuore senza chiedersi il motivo donando rispetto e dignità a pezzi di vita negati, lacrime incorreggibili e silenzi troppo lunghi significherà dare nuova linfa vitale al desiderio di rinascita di tutti coloro che ritengo essere i veri eroi del nostro tempo, non le vittime.Coloro che vivono e soffrono continuando a lottare con gli affari quotidiani senza armi in mano, a meno ché non intendiamo per armi quei cuori lacerati che si offrono nonostante tutto pulsanti e umili al bisogno di vero amore mentre sparano inesorabili contro il muro dell’indifferenza logorante.

Millenni in cui si è scritto,parlato,romanzato e idealizzato sull’amore… millenni ancora quelli che ci serviranno per capire cosa sia realmente.

Ricordando che le parole feriscono e lacerano come fendenti infuocati e si ripetono come mantra nella mente mi auguro che tutti voi possiate emozionarvi per ciò che di più semplice la vita regala, affiché vi possiate un giorno avvicinare a quei cuori che hanno subito vissuto e superato un trauma impavidamente.

“Non è per l’una o l’altra particolare istituzione politica che si manifesterà l’universale rovina, o l’universale progresso,m’importa poco il nome. Sarà per l’avvilimento dei cuori”, Charles Baudelaire.

Il centro di accoglienza “La Casa di Giorgia”, gestito dall’ associazione Centro Astalli – Jesuit Refugee Service ospita donne rifugiate singole o con figli minori in convenzione con l’Ufficio immigrazione del Comune di Roma.

Le ospiti sono donne in fuga da conflitti, persecuzioni e violenze, che si trovano nella necessità di ricostruire le proprie vite nel nostro Paese, ricominciando da zero.

Il loro vissuto traumatico, il distacco dagli affetti e le difficoltà della vita in Italia spesso condizionano in modo negativo il raggiungimento dell’autonomia: il lavoro dello staff, composto da quattro operatrici coadiuvate da venti volontari, ha lo scopo di fornire alle ospiti la possibilità di risperimentare l’autoefficacia in un contesto accogliente, protetto ma contemporaneamente aperto all’esterno.

Ciascuna delle ospiti è portatrice di grandi risorse di resilienza e vitalità, ed è in possesso di competenze professionali e sociali che vanno valorizzate e sostenute in un percorso che incoraggi la capacità di autogestione e il raggiungimento dell’autonomia.

Il compito dello staff, reso possibile da un proficuo lavoro di rete con gli altri servizi pubblici e del privato sociale presenti sul territorio, è di orientare ciascuna ospite all’attivazione di tutte le risorse necessarie per concretizzare il loro personale progetto di vita.

La progettualità, le risorse e le capacità delle donne che accogliamo sono al centro del progetto di accoglienza; una scelta che continua a rivelarsi proficua: da Gennaio 2013, su 13 ospiti dimesse dal centro, 11 sono uscite dopo aver raggiunto una situazione di autonomia lavorativa o per iniziare la fase successiva del loro progetto di vita.

Libere di fare e libere di essere Libertà nel fare e libertà nell’essere. C’è una grande differenza. Oggi le donne hanno fatto il primo passo: possono lavorare, guadagnare, studiare, dirigere, raggiungere i loro obiettivi. È la libertà del fare. Ma è necessario anche compiere un secondo passo: verso la libertà dell’essere. Cosa significa? Significa potersi esprimere con modalità femminili e non maschili: sul lavoro, in famiglia, nella coppia, nella realizzazione di se stesse. Tra il modo di esprimersi delle donne e il modo di esprimersi degli uomini esistono delle vere e proprie differenze.

Il femminile e il “pensiero di pancia”.

Se il maschile è lo spazio della mente, della logica e della razionalità, il femminile è lo spazio del corpo, delle percezioni e delle sensazioni. E’ caratterizzato dall’intuito, dalla creatività, dall’istinto, dalla fantasia, dalla sensibilità. Questo tipo di approccio può definirsi come il “pensiero di pancia”, in contrapposizione alla modalità maschile, detta “pensiero di testa”. Questa modalità espressiva al femminile è però ancora poco valutata e riconosciuta. Ma è proprio attraverso questi aspetti, tipicamente femminili, che la donna può dar voce alla sua forza, ai suoi talenti, alla sua capacità di amare e può scoprire cosa le manca e come meglio esprimersi.

Un percorso di connessione con l’anima femminile.

È necessario un ritorno al femminile vero e autentico, affinché le donne possano riappropriarsi del loro “modo di essere”, per sviluppare una morbida forza che proviene dal profondo e permette loro di esprimersi con pienezza, in sintonia con l’anima femminile.

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